giovedì 29 marzo 2012

Lettera dal Brasile n.1




Alla domanda di un giovane paulistano su quale fosse stato il mio “shock cultural” arrivata in Brasile, la prima risposta è stata “a natureza!”, la natura.
Uscendo dall’aeroporto internazionale di Guarulhos, ci si trova immediatamente di fronte ad una vegetazione rigogliosa e fitta: si comprende subito di essere altrove, non più in Europa.
Nonostante São Paulo sia una megalopoli, la natura continua a sorprendermi ogni giorno. In un documentario, un artista di Salvador, parlando del Brasile, diceva che qui, se stai fermo, la natura ti assale.
La sensazione, in effetti, è questa.

I pochi resti di Mata Atlântica presenti ancora nella città, come il parco del Trianon o una vasta area nel campus della Universidade de São Paulo, danno un’idea di ciò che doveva essere il paesaggio, prima che l’edificazione selvaggia distruggesse quasi tutto.
La Cidade Universitaria della USP sorge sul terreno, vastissimo, di un’antica fazenda; nonostante la grande quantità di edifici accademici presenti, la vegetazione ne occupa parti estese, rendendo il campus un luogo piacevole e allegro, pieno di piante e fiori tropicali.

Purtroppo, al di fuori di esso e in gran parte della città, lo scenario cambia totalmente.
San Paolo sembra essere stata edificata senza un criterio d’insieme: la pianificazione ha interessato delle zone, trascurandone altre. Si assiste così ad una continua alternanza tra parti compiute ed incompiute, quest’ultime, apparentemente provvisorie, sono in realtà consolidate da anni.
Lo stesso vale per le favelas. Ad esclusione delle zone centrali, è possibile vederle ovunque; sono tante, variano per dimensione ed estensione, ma fanno parte del tessuto urbano, più di quanto si possa immaginare.
Nel mio primo giorno al campus della USP, mi sono stati mostrati i luoghi che bisogna conoscere: dove bere un buon caffè brasiliano, dove mangiare il pão de queijo, dove bere una cerveja, magari al chiosco di donna Eva.
Questo luogo mi ha colpito: rappresenta il confine tra due realtà lontane e diverse, ma che qui convivono, apparentemente, in pace. Il bar si trova, infatti, in uno dei punti in cui finisce il campus ed inizia la favela São Remo.  

Avvicinandosi al centro, la città cambia ulteriormente, ma l’edificazione sembra sempre incontrollata. Si trovano grattacieli - come nell’Avenida Paulista - o edifici di dimensioni ridotte, privi però di stile architettonico.
Nel centro storico - praça da Repubblica, rua 7 de April, largo São Francisco, rua São Bento – è possibile ancora trovare qualche edificio di pregio, purtroppo mal conservato.
La città non sembra avere il culto, o per lo meno, la coscienza, del bene storico – artistico. 
Tale coscienza è venuta meno anche nel MASP, dove il progetto della Bo Bardi è stato completamente alterato e modificato, in nome, probabilmente, della funzionalità e della uniformità ad uno stile museale ampiamente consolidato.
Con dispiacere ho constatato che la grande pinacoteca, così come l’aveva progettata l’architetto, non esiste più. Non ci sono più i quadri esposti in sequenza su cavalletti in vetro e cemento, non è più possibile, dall’interno, osservare la città attraverso le vetrate continue.
Nonostante le modifiche fatte, la forza dell’edificio è immutabile ed il vão livre, alla quota dell’Avenida Paulista, non può che sorprendere e affascinare lo spettatore.

Sorpresa ed emozione si provano anche nell’arrivare a praça do Patriarca, per via della bellissima copertura progettata da Paulo Mendes da Rocha: questa sembra librarsi in aria, come una tela leggera.
E’ la porta che ti invita ad entrare nel centro storico della città.

Ognuno di questi luoghi è attraversato quotidianamente da centinaia di persone: la città appare sempre in continuo movimento, non riposa mai.
São Paolo è una città complessa, piena di contraddizioni e di realtà differenti; nonostante questo, i paulistani sono allegri, socievoli ed ospitali, non deludendo così le aspettative di un’europea.