martedì 12 luglio 2011

trasparenze

Nel Movimento Moderno la trasparenza era sinonimo di innovazione, di progresso. Esprimeva il desiderio di rinnovamento di un’intera generazione di architetti, combatteva il volume chiuso e compatto, lavorando per piani, annullava il confine tra interno ed esterno.

Oggi, alla “trasparenza letterale” del vetro, propria del Moderno, si affianca una “trasparenza totale” – si pensi alla Water / Glass di Kengo Kuma -, ma essa assume significati del tutto diversi: la trasparenza diviene dissolvenza, gli edifici divengono oggetti evanescenti, quasi immateriali.

Da parte degli architetti c’è il desiderio di velare più che rivelare apertamente, di dare un’immagine mutevole, che rispecchi la società attuale, ristabilendo anche una “soglia” tra interno ed esterno.

Le tecniche utilizzate sono diverse ed innovative. Esse consentono di utilizzare materiali tradizionali o con finalità differenti per ottenere effetti del tutto nuovi: rendere visivamente permeabili superfici naturalmente opache, aumentare le variabili che determinano la trasparenza (dimensione, densità, forma, ecc).

Lo strumento informatico aiuta e supporta questo tipo di ricerca. Herzog & de Meuron in due recenti opere - il Museo Michael de Young a San Francisco e il Centro Culturale Oscar Dominguez a Santa Cruz de Tenerife –partono da un’immagine digitale, la traducono in pixel ed ottengono il rivestimento esterno, una trama microforata nel primo, il cemento irregolarmente forato nel secondo.

Qui, come in altre opere, l’idea compositiva si serve dell’informatica per raggiungere l’effetto desiderato, la formula matematica non ha il sopravvento, l’architettura è salva.

A progetti come il Blur di Diller & Scofidio, in cui l’architettura muta al variare delle condizioni atmosferiche, si preferisce la trasparenza visiva, sonora, olfattiva del Padiglione svizzero per l’Expo di Hannover di Peter Zumthor, dove l’architettura interagisce con l’ambiente esterno, ma il risultato è un’immagine poetica e non una macchina mutevole.